Descrizione
Racconti dal Nord-Ovest, terre incolte e buone pagnotte.
Sentieri, alpeggi, cascine e sacre solitudini. Un portolano squilibrato, con storie di adesso e di anni fa, venti, trenta, magari di più, utili se non altro per vedere quanto, nel frattempo, c’è di cambiato in giro. E non sempre in meglio come sempre. Anzi. Informazioni, lamentele, pensierini, piccole interviste, malinconie. Niente di serio. Ogni tanto c’è anche da ridere. Lunghe o brevi camminate in montagna, giri in pianura, tra i paesi, i mercati, e quel che di bello è rimasto della provincia. Robe poco sportive, solo il piacere di muoversi a piedi per boschi e praterie, annusare le fioriture nei pascoli di giugno, il profumo di resina di un larice appena abbattuto o l’odore pungente di un gregge di pecore, o di vacche al pascolo. Parlare con la gente, farsi cascare le braccia ascoltando i discorsi per strada. Detestare i videogiocatori da bar, inebetiti sui loro trespoli.Incontri, ricerche, memorie. E piccole storie di alcuni amici. Due se ne sono già andati.
Renato Scagliola è nato a Torino nel 1941. Giornalista professionista alla «Gazzetta del Popolo», «Stampa Sera» e «Stampa». In pensione passa molto tempo in una vecchia cascina a Envie, mezza montagna in provincia di Cuneo, dove s’ingegna in lavori socialmente inutili. Ha camminato un po’ nelle Alpi Piemontesi, parlando poco, e ascoltando molto. Nel 1994 ha pubblicato il libro Osteria d’Oriente con le foto del figlio Davide, oggi un bravo fotoreporter.
La grappa alla vipera è una specie di seguito più meditato.
Bianucci Piero –
La grappa alla vipera di Renato Scagliola
Piero Bianucci
Una volta si andava a funghi, o per prati. Adesso si va su facebook o su youtube. Renato Scagliola di sicuro preferisce i funghi (bulé, o anche solo famiole, sui tajarin) e ancora di più i prati. Però se andate su youtube lo trovate. Naturalmente a sua insaputa, come adesso si usa dire. Cioè lui non ci è andato, su youtube, ma qualcuno ce l’avrà messo, visto che c’è.
Lo trovate insieme con i Cantambanchi, un gruppo folk innovativo e alternativo che ha fatto un gran bel lavoro a Torino e in Piemonte per tanti anni, dal 1969 in poi, e qualche volta lo fa ancora. Andate a sentirvi Là sota i portic d’Cuni, Los Indios de la Langa, Batista o La ballata energetica, pezzi ripresi da qualche programma della Rai di una volta. (non ho trovato, ma ci sarà, su youtube, se no bisogna mettercela, Automobilesimo). Sarete sorpresi ora dalle sonorità inedite applicate a un pezzo tradizionale, ora dalla modernità di musiche e testi originali che sono forse più attuali oggi di quarant’anni fa. Bene, quei testi li scriveva Renato Scagliola, che poi li cantava anche, con gente come Giancarlo Perempruner (che purtroppo non c’è più), Franco Contardo, Laura Ennas e altri che per fortuna ci sono ancora.
Di Renato Scagliola è appena uscito il libro La grappa alla vipera, edito da Giancarlo Zedde, Torino, 224 pagine, 17 euro. Un seguito (non un sequel, per favore) di Osteria d’Oriente, ma con più anni addosso, e quindi più consapevole, forse anche un po’ più dolce e un po’ più amaro, secondo i momenti. Sono esplorazioni in quello spazio esiguo, ma senza limiti, che va dalle valli di Lanzo alle valli di Cuneo e dalle Langhe al Monferrato, sempre con il profilo del Monviso più o meno vicino, quella specie di marchio della Paramount, come mi fece notare una volta Ezio Giacobini, illustre neurofarmacologo che per trent’anni ha insegnato in varie Università americane e ora è all’Università di Ginevra, ma viene da Peveragno.
Nella prima pagina, prima riga, lui lo definisce “un portolano squilibrato, con storie di adesso e di tanti anni fa”. E’ così. Potete leggerlo un capitoletto dopo l’altro o anche aprirlo a caso e cominciare di lì, perché le storie sono brevi, e hanno un inizio e una fine in pochi paragrafi, ma quello che conta è il basso continuo, il ritorno di temi che non sono mai espliciti ma vengono fuori dalle cose, dai posti, dagli incontri. Ci sono pezzi struggenti, come quando si parla di Perempruner, pezzi insieme divertenti e pensosi, come quello su Fausto Amodei, pezzi esilaranti e crudeli, come la descrizione di un pic-nic di pasquetta (con grigliata, ovvio). Incontrerete dei vecchi e stravecchi che presidiano in pochi o da soli frazioni sperdute nelle montagne, visiterete osterie dove si mangia pane e formaggio, trattorie dai nomi meravigliosi (Tre Re, Re Magi, Stella d’oro, Dell’Angelo, I due cavalli) che talvolta di buono hanno ormai solo il nome, e qualche volta neppure quello, se l’hanno cancellato dal muro sbiadito e scritto sulla plastica o in una insegna al neon. C’è persino, a Saluzzo, un Albergo Luna e garage.
I filoni, come si usa dire, di questa miniera labirintica che ha dentro il disordine e la casualità della vita?
Uno è la nostalgia, che però dura poco e subito prende altre strade: qualche volta la malinconia, ma più spesso la rabbia, e la rabbia spesso produce una ironia sapiente, cattiva e insieme dissimulata, perché Scagliola sa bene che l’umorismo si fa con la faccia seria, altrimenti non fa ridere.
Un altro filone è quello degli amici, quelli che ci sono ancora e quelli che non ci sono più, e di questo qualcosa ho già detto. Poi c’è la natura, ora intatta ora violata, con le auto “parcheggiate in seconda fila anche se non c’è la prima”. Ci sono storie di muri, cose e persone. Straordinaria la scoperta e poi la ricerca che Renato Scagliola compie sulle tracce di suo antenato rimosso, Giovanni Battista Scagliola, classe 1911, quinto di sette figli, figlio di Secondo, fratello di suo nonno Giacomo e comandante partigiano detto Piero come nome di battaglia. Storia che ha lasciato traccia a Cisterna d’Asti, scenario dove agisce anche Adrian Alexander Hope, già ufficiale di missione inglese, paracadutato a Mombarcaro, professore di Lettere e filosofia, morto nove giorni prima della fine della guerra per un maledetto incidente, o, come si dice, sotto il fuoco amico.
Ma nella bottiglia della “grappa alla vipera” (andate a vedervi questa storia, perché non la svelerò), ci sono soprattutto sensazioni raccontate con pudore. Odori e profumi, luci e penombre, ma più ancora suoni e silenzi, com’è logico per uno che ha sempre fatto musica, pur avendo un altro mestiere non meno sciagurato: giornalista, pensate un po’.
I suoni possono essere il vento tra le foglie, un muggito lontano, il rombo di una marmitta sgangherata. Suoni melodiosi e suoni incivili. Più importanti però sono i silenzi. Ho lavorato con Scagliola dai tempi della “Gazzetta del Popolo” in corso Valdocco (anni 60-70) fino a questo 2012 di spread e disperazione. Il più delle volte in reparti diversi, lui in cronaca, io in redazione, e allora ci si vedeva sì e no e sempre da lontano. Ma poi, per parecchi anni, insieme, a Tuttoscienze, gomito a gomito, faccia a faccia, tutti i giorni di tutti i santi mesi. Eppure non è che ci si parlasse poi tanto. Perché con Scagliola ti capisci a grugniti e mugolii meglio che con il vocabolario della Crusca. Come dice il proverbio, se la parola è d’argento, il silenzio è d’oro. Ma quando una parola esce, ed è quella giusta, fa piacere sentirla. Ti riconosci, e magari ti strappa un sorriso. In questo libro parole così ce ne sono tante.
1 settembre 2012
http://www.pierobianucci.it
Grande Carlo –
CARLO GRANDE
Sfatiamo un Mito: quasi tutte le vipere sono pacifiche e fuggono davanti all’uomo
Chissà come saranno contente – loro che amano i luoghi caldi e asciutti – dopo le piogge dei giorni scorsi: sono le vipere, non tutte – anzi pochissime – aggressive come si dice. Alcune, come la Aspis, hanno indole
mite e fuggono volentieri; quasi tutte, come la Vipera del Corno (più comune nel Veneto) reagiscono solo se minacciate. Accade a tante persone: il guaio è che la sindrome da accerchiamento («We’re attacked constantly», recitava una litografia di Andy Warhol) scappano o contrattaccano senza nessuno li minacci. Però, come scrive nel suo libro Renato Scagliola, collega di giornalismo e camminatore, gran facitore di coltelli e di racconti (si intitola «La grappa alla vipera», editore Giancarlo Zedde), «di morti per il morso di una vipera non se ne ricorda più nessuno».
Scagliola ricorda come veniva fatto il liquore – con il serpente, non con il veleno – e le bottiglie che si vedevano nei bar fuori mano, in montagna; simboli di virilità sugli scaffali, metà ad uso dei bevitori metà per i «blagueur» davanti ai turisti e ai compagni di bevute. Libro per spiriti liberi, ricco di memorie, di personaggi, silenzi e utopie. Avercene. Come le passeggiate letterarie sui luoghi di Fenoglio (organizzate nei weekend di settembre dall’associazione Terre Alte e dal Parco culturale Piemonte paesaggio umano) o la Settimana nazionale dell’escursionismo che il Cai inaugura giovedì prossimo a Parma. Cose che mettono in moto piedi, cuore e cervello, che combattono le scemenze (come la diceria del lancio delle vipere dagli elicotteri), che aiutano a vivere.
Renato se ne sta in una cascina a Envie, guarda, pensa, parla con la gente e insegna lavori socialmente utili e la Grappa alla vipera e gli esseri dalle pu- pille verticali come i gatti e la testa triangolare, i serpenti che assillano certi escursionisti estivi – torneranno tutti con il bel sole di settembre – fanno quasi tenerezza. Ben altri intrugli ci fanno bere, respirare e ascoltare. Diceva bene Trilussa: «Appena che la vipera s’accorse/ d’esse vecchia e sdentata, cambiò vita/ S’era pentita? Forse». Ma il veleno sparso, aggiunge, rimane. E la storia di chi si pente fuori tempo mas- simo, quando ormai non può rimediare alle carognate. Di chi, cantava De André, «dà buoni consigli, sentendosi come Gesù nel tempio». Si fa specialmente quando non possiamo più dare cattivo esempio…
«La Stampa», martedì 4 settembre 2012. http://www.lastampa.it/grande
Quaranta Bruno –
BRUNO QUARANTA
Nella grappa c’è pure una, vipera.
Un sorso, un lungo sorso di «Grappa alla vipera». A offrirla è Renato Scagliola, un vagabondo in se stesso, libero fino alla solitudine. Giornalista e rabdomante del nostro cuore antico. Un collezionista di anime, di cose, di paesaggi. È un inventario di civiltà il suo journal (Giancarlo Zedde
editore, euro 17), eccentrico, estraneo cioè ai soliti, triti sentieri sin dal titolo, scovato in val di
Susa, in un bar fuori mano, «una bottiglia con dentro un affare che sembrava un serpentello. Spiegarono
che una volta, e un poco anche adesso, si usava per blaghé, come si dice, forse per mostrare coraggio e virilità, sprezzo del pericolo bevendo».
Scagliola la attinge in«Lavorare stanca» l’epìgrafe del suo voyage sulle rotte del Nord-Ovest: «Tacere è la nostra virtù». Ma c’è un ulteriore verso di Cesare Pavese che gli si intona appieno: «Ho trovato compagni
trovando me stesso». Potrebbe essere, è, il sugo di questa storia, una carovana di pepite, di
rarità: l’amicizia, la parola che serve, che significa, mai vacua, mai rafferma, l’innocenza delle pupille («Stupirsi che tutti gli anni d’estate maturi il grano e la meliga, che venga l’uva, fioriscano le patate…»).
È un bracconiere di caratteri, Renato Scagliola, un fantasma concreto, un buon samaritano che soccorre
via via, così salvandole, cosi offrendole in dote a noi, e a quanti verranno, voci di piola, di balma, di cascina, di risaia, di bosco, di pascolo. Svelandosi, rivelandosi, come un allievo, come un eco, come informa di Rigoni Stern.
Non rimpiangendo il tempo trascorso, ma – felice ironia – scrutandolo, intendendolo nei nostri giorni apparentemente postmoderni (a Sanfrè, moto lustre, un’Harleynera magnifica e
cromatica, ragazzi tatuati, ragazze in top, «poi parlano il bel dialetto del Roero, uguale a quello dei
padri e dei nonni contadini. Altro che California»). Levando, sottraendo, incenerendo. Renato Scagliola è il restauratore (e il custode) di una mappa geografica, ma soprattutto etica, incardinata nel necessario, impermeabile ai persuasori occulti, agli slogan, alla latta camuffata da oro.
«La Stampa», giovedì 19 luglio 2012.
Cabiati Irene –
Lo zaino si riempie di emozioni
Appunti sparsi fra valli, montagne e risaie del Piemonte: La grappa alla vipera di Renato Scagliola è il diario di un viaggiatore solitario che nel suo cammino malinconico si interrompe volentieri per incantarsi alla voce sgradevole della ghiandaia, o nel solenne silenzio dei borghi abbandonati, per grattare storie da ogni crepa, o nell’afrore alcolico delle osterie, per raccogliere con devozione le memorie dei vecchi. Ogni luogo è un palcoscenico, ogni passo è per riempire lo zaino di sensazioni, umori e tracce. Non inutili souvenir, ma minuscole tessere di un puzzle che perfezionano l’affresco già tracciato vent’anni fa con il libro Osteria d’Oriente.
E la vipera? E’ conservata intatta nell’alcol, come potrebbero esserlo le parole di questo libro.
La Stampa, pagina Giorno e Notte di sabato 20 ottobre 2012, Irene Cabiati.
Gambarotta Bruno –
Sapevate che questo è l’Anno dell’Invecchiamento Attivo? Siete scusati, tutta l’attenzione è rivolta ai giovani, salvo non fare nulla di concreto per loro. Il Comune di Bra è andato contro corrente e ha organizzato sabato scorso un’affollata tavola rotonda sul tema “Vivere bene la terza età”. Al termine, sostando sulla soglia della sala dedicata a Giovanni Arpino, qualcuno fra i presenti mi ha chiesto consigli di lettura. In libreria c’è un intero scaffale di manuali ricchi di istruzioni per invecchiare bene. Meglio di un manuale per me è il libro di uno che si è inventato un modo di vivere con pienezza gli anni della pensione. E’ intitolato “La grappa alla vipera”, edito da Giancarlo Zedde e l’autore è Renato Scagliola, un nome noto ai lettori di Torino Sette poiché cura “Sul filo della memoria”. Scritto con il piacere goloso di chi assapora la parola esatta, è il brogliaccio di anni di liberi vagabondaggi per paesi e valli del Piemonte. Lo consiglio perché è lo specchio di uno stile di vita imitabile senza tanti stravolgimenti, dimostra che non è necessario andare in Patagonia per fare scoperte esaltanti. E’ sufficiente smettere di uscire di casa per fare solo il giro dell’isolato e incominciare ad andare in giro in luoghi che si credeva di conoscere, rallentando il passo e adottando una visione dal basso che vede e annota tutto, i fili d’erba, i “laidi capannoni in cemento precompresso”, le “antenne dei cellulari come le torri di avvistamento del medioevo”, le orme dei cinghiali, le superstiti grange, le osterie nascoste, il “panorama senza fine” che si gode dal cimitero di Castelnuovo di Ceva, dove riposano le spoglie dell’amico di una vita, Giancarlo Perempruner. In questo zibaldone piemontese si trovano anche triangolazioni fortuite di esistenze esemplari che si incontrano per affinità elettive, si perdono per i casi della vita e infine si ritrovano. Racconti di gente che, dopo aver pagato il debito di un lavoro sicuro, ha avuto il coraggio di seguire la propria vocazione. Come il già citato Perempruner che “ha lavorato per 20 anni all’Olivetti poi ha seguito di brutto i suoi istinti e si è messo a lavorare con i giocattoli poveri”. Molti di noi si sono messi a giocare con Facebook alla ricerca dell’albero genealogico; Scagliola lo fa alla vecchia maniera, frugando negli archivi e scarpinando. E anche questo è un modello da imitare. Cercando di “salvare il salvabile e vivere meglio tutti”.
La Stampa, TorinoSette, 2 novembre 2012