Descrizione
«Il ventinove luglio quando matura il grano… No, non è ‘nata una bambina con una rosa in mano’, come recita la strofa di un famoso canto alpino della prima guerra mondiale».
È l’incipit di un’altra storia, intonata con emozione, lucidamente, perché le immagini – ancora negli occhi dell’autore, come se le avesse viste soltanto ieri – diventano cronaca: tradotte, soldati, fronte, batteria contraerea, freddo, reduci… elementi di una vicenda collettiva ormai consegnata alla Storia. E lui, all’alba dell’8 agosto del 1942, era alla stazione di Cuneo, con altri uomini, destinazione il Caucaso, ma si fermarono sulla sponda del Don.
Dario Antico è tornato da quel viaggio e dopo sessant’anni dice: «Come potrei dimenticarti, giovane alpino (avevi la mia stessa età) mentre in una buca scavata nella neve mi chiedevi se saremmo tornati ‘a baita’ e io cercavo di rassicurarti, ma con la morte nel cuore perché ero perfettamente cosciente dello stato di congelamento delle tue estremità e di non poter fare nulla perché tutto intorno era l’inferno».
Grazie Sottotenente Antico, per averci ricordato la nostra Storia.
Dario Antico, mente brillante e geniale della chimica delle materie plastiche, nel dopoguerra ha contribuito alla ripresa di svariati settori dell’industria italiana. Ciò non ha mai limitato la sua più intima natura di alpino, un DNA che lo ha accompagnato negli anni e spinto a redigere articoli e a creare un archivio di documenti, sovente consultato da enti e scrittori. Oggi, con gli occhi di un ventenne capace di guardare ‘oltre la guerra’, dà alle stampe il racconto dell’esperienza sul fronte russo.
In queste pagine, che rappresentano per l’Autore la prima – una prima – esperienza letteraria, il racconto della propria vicenda di giovane alpino, Sottotenente della Divisione Cuneense, inviato a combattere, come tante altre migliaia di giovani, in un Paese lontanissimo e per molti versi sconosciuto, emerge con l’urgenza dell’autobiografia.
Il titolo stesso, Da Boves a Borgo passando per la Russia, scelto già al momento della prima, immediata stesura del diario sia durante la permanenza sul fronte russo sia al ritorno in Patria, fa chiaramente percepire, in una sorta di sua ironia di fondo, di contraddizione consapevole, il fatto che l’esperienza della guerra sia stata vissuta dal protagonista secondo una duplice modalità: come un’incognita che si è progressivamente tinta di una drammaticità tale da giungere, direi, al delirio e come speranza di superamento. La seconda parte del Titolo, ‘passando per la Russia’, rappresenta volutamente quella ‘parentesi’, quasi una lunga deviazione, che pur nella sua terribilità va a collocarsi fra i due cardini della vita dell’Autore, i due porti sicuri, le località del Cunense Boves e Borgo San Dalmazzo, ove egli sa e può ritrovare gli affetti che ne hanno formato la personalità e quelli che ne avrebbero determinato la vita futura.
‘Da Boves a Borgo’ ha il senso di un ritorno da celebrare, del recupero della quotidianità, della volontà di riappropriarsi a ogni costo di ciò che avrebbe potuto essergli irrimediabilmente tolto, come fu il destino di tanti altri. Ma ha anche il senso dell’urgenza di riflettere su quanto accaduto, di riflettere su ciò che è accaduto nell’animo dell’Autore, come nell’animo di chiunque abbia vissuto o viva analoghe esperienze, e di porre ordine, non tanto per riuscire a dimenticare quanto piuttosto per sanare ferite profonde che stentano ancora a rimarginarsi, per «sistemare» e rielaborare il ricordo verso forme meno pregne di sofferenza.
Dal diario emergono dunque, più che i resoconti delle operazioni militari, già peraltro soggetto privilegiato di tante monografie, i «retroscena» personali, delle vicende belliche, quelle battaglie, quelle guerre dell’affettività, quelle intime lacerazioni che accomunano i soldati di qualunque cultura, di qualunque strato sociale e che – non possiamo non rimarcarlo – continuano ad essere tragicamente attuali!
Scorrendo le pagine riscontriamo dunque contenuti solo apparentemente in contraddizione: il rilievo dato al travaglio interiore di un giovane immesso in una realtà così potentemente violenta, i sentimenti e le sensazioni, ma anche la personale risorsa nel riuscire a mantenere vive le aspettative per la propria professione futura, a recuperare – a… rubare, a carpire… appena se ne fosse offerta l’occasione! – frammenti di serenità attraverso un’altra risorsa, quella di saper osservare e recepire, rielaborandoli, i valori estetici di un’opera architettonica, di uno scorcio paesaggistico, di un contrasto cromatico. Emerge malinconicamente il dolore mitigato dal profondo senso della Patria, gli ideali di un ventiduenne che, in modo non dissimile da quello di tutti i giovani inviati, in ogni tempo, nei luoghi di guerra, vive con senso del dovere, con responsabilità e coraggio, una ‘avventura’ – come leggiamo nelle pagine del libro – il cui ‘significato’ storico, argomento di una vastissima produzione a livello mondiale, è ancora dibattuto. Proprio per tale ragione, per la difficoltà a comprendere i ‘significati’ dei conflitti, non ci si può stancare di fare chiarezza, di dare un contributo alla consapevolezza, di restituire alle nuove generazioni il ‘valore’ del pianto e gli strumenti per capire, e perciò di leggere e rileggere diari e racconti, resoconti e ricostruzioni non solo di episodi di guerra, ma anche di emozionalità e, oggi, questo ultimo diario del tutto personale, privato, emotivo, scritto alla stregua di un diario ‘di viaggiatore’, ma nella realtà ‘rituale’ liberatorio, contestualmente scritto, come dice lo stesso Autore, «Per non dimenticare, per esercitare la memoria non in senso nostalgico, bensì per progredire verso quella difficile strada che deve riuscire a portare lontano dalle tragedie, dalle guerre».
Preziose, queste pagine, anche per me, figlia e madre, per condividere, vedere con gli occhi della mente, per «esserci», per «essere» in un qualche modo vicina a mio padre giovane soldato e consolarlo ascoltandolo, ora, dopo decenni di silenzio. Un padre così incredibilmente somigliante a mio figlio e un figlio così incredibilmente somigliante a mio padre: in questa sorta di confusione di volti, di tratti somatici, di sguardi, di attitudini, in questo inconsueto ‘gioco’ di scambio di figure e di emozioni, di divise, di cappello con penna, in questa difficoltà a cogliere con razionalità e diacronicamente la storia raccontata e la storia immaginata in cui protagonista avrebbe potuto essere mio figlio e non mio padre sta, forse, uno degli aspetti efficaci e positivi del libro, capace di produrre momenti di introspezione e sentimenti costruttivi. Confusione, sovrapposizione identificabile e interpretabile come un tumulto emozionale: chissà quante volte vissuto nei secoli, condiviso e condivisibile da parte di altre innumerevoli madri che ancora attendono che tutto quanto narrato non accada più.
Mariavittoria Antico Gallina
L’alpino –
Leggere Da Boves a Borgo passando per la Russia è come ripercorrere sessant’anni di storia con gli occhi di un giovane che alla vigilia della guerra, come molti suoi coetanei, aveva aspirazioni personali ma anche senso del dovere e amor di Patria. Ed è anche per questo che quel giovane, Dario Antico, classe 1920, scelse di essere uno di quei soldati che, quando era bambino, guardava dalla finestra di casa nella caserma del secondo reggimento che aveva di fronte. Sottotenente, verrà inviato sul fronte russo con la Cuneense. Il lettore è accompagnato in un viaggio che inizia a Boves nell’estate del 1941 e si conclude a Borgo San Dalmazzo (Cuneo) nel 1943. È un libro scritto in forma di diario dal quale emergono, più che i freddi resoconti delle operazioni militari – già soggetti privilegiati di tante monografie – il travaglio di un giovane immesso in una realtà così potentemente tragica come quella della guerra.
L’opera è completata da numerose foto, disegni, documenti storici e personali, raccolti dall’autore nel corso degli anni. «L’Alpino, giugno 2007, pag 50.