Descrizione
Il Maresciallo Vauban nel progetto di assedio di Torino presentato nel 1705 a Luigi XIV menziona, con una certa sicurezza, la presenza di contromine attorno alla cinta difensiva torinese: «Vengo a sapere che [la Cittadella] è ben controminata di dentro e di fuori».
Si può congetturare che Vauban fosse venuto a conoscenza, attraverso lo spionaggio, dei lavori intrapresi davanti alle fortificazioni della città – qualche talpa in Torino doveva pur esserci! Del resto l’avversario stava perforando gli spalti con numerosi pozzi dai cui estraeva una grande quantità di ghiaia e una tale attività non poteva passare inosservata. Informato della presenza di ghiaia, caratterizzante gli strati profondi, il Maresciallo intuì che si scavava in profondità. Chi meglio di lui avrebbe potuto valutare il peso di quelle notizie? A Torino si stavano costruendo le contromine!
Il 7 aprile 1705 il Consiglio delle Fabbriche e Fortificazioni incaricò il capomastro Pietro Bello di costruire le prime contromine. Si trattava di undici gallerie di cui sette per la difesa della fortificazione urbana e quattro per il servizio della Cittadella per complessivi 220 trabucchi lineari. Il progetto dei lavori fu redatto dall’ingegnere Michelangelo Garove. Questo complesso lavoro fu eseguito in quaranta giorni soltanto.
Questo potrebbe spiegare la proposta di Vauban di iniziare l’attacco a Torino dal Bastione Sant’Antonio, a lato della Porta di Po, nella zona di Vanchiglia e proseguirlo poi sul fronte «interno» della Cittadella, rivolto verso la Città, che egli riteneva più debole.
Nei primi anni del XVIII secolo il Ducato sabaudo ebbe la fortuna di essere governato (la parola si addice perfettamente) da un sovrano illuminato come Vittorio Amedeo II il quale fu affiancato da abilissimi ingegneri e architetti e poté fare affidamento sulla competenza degli impresari che contribuirono alla salvezza della capitale.
Il Duca e i suoi ingegneri, in primis Antonio Bertola, preoccupati dalla prospettiva dell’imminente attacco dell’Armata del Luogotenente Generale La Feuillade, decisero di aprire le prime contromine nelle controscarpe dei fossati, nel timore di non avere sufficiente tempo per costruirne di più lunghe che, partendo dal corpo della piazza, avrebbero dovuto oltrepassare i fossi.
Gli sbocchi delle gallerie alte nel muro di controscarpa dei fossati furono un rischio, sebbene calcolato. Quelle aperture facilitarono di molto lo sgombero del terriccio dalle nuove contromine, permisero i rifornimenti di mattoni, sabbia e malta, nonché dell’acqua necessaria alla fabbrica delle murature; inoltre, consentirono l’impiego di mantici per ventilare i cunicoli. Tuttavia, a questi vantaggi si contrapponevano alcuni inconvenienti, accettati per necessità, tra cui il pericolo di colpi di mano degli assedianti, come purtroppo accadde la notte tra il 29 e 30 agosto nell’episodio che si concluse con il sacrificio del minatore Pietro Micca.
Le ricerche condotte da Paolo Bevilacqua e Fabrizio Zannoni sulla costruzione delle gallerie di contromina della Cittadella e della cinta urbana danno un prezioso apporto alle conoscenze della storia di Torino nel cruciale periodo dell’assedio francese del 1706.
Durante l’assedio l’esteso sistema di contromina permise alla piazza di resistere e impose un rallentamento alle operazioni ossidionali dell’Armée Royale, che subì ingenti danni a causa dalle esplosioni sotterranee; le improvvise volate delle mine piegarono il morale dei soldati, costretti ad avanzare su un terreno infido e pronto a riservare nefaste sorprese.
Nella realizzazione di questo strumento difensivo fu determinante il contributo delle comunità della Valle di Andorno (l’odierna Valle Cervo) da cui giunsero impresari, operai specializzati e minatori che misero a frutto l’esperienza di una tradizione secolare nella lavorazione della pietra, unica risorsa in un territorio estremamente povero, in cui la sapiente conoscenza di quel mestiere era l’unica possibilità di migliorare la propria condizione sociale. Con semplici utensili e una straordinaria manualità costruirono un dedalo di gallerie in un ambiente così ostile all’uomo qual era il sottosuolo, dove talora mancava l’aria e il terreno si opponeva allo scavo per durezza o franosità.
In occasione del terzo centenario dell’assedio di Torino, di là delle cronache militari già ampiamente documentate, è opportuno rendere un omaggio a coloro che difesero la città senza armi nelle mani, ma soltanto con il loro mestiere. In quegli angusti e oscuri camminamenti sotterranei, al cui progetto attesero i migliori ingegneri civili e militari attivi in quegli anni in Piemonte, si diede prova dell’ingegno e della tenacia umana, versando sangue e sudore per la salvezza della Città.
La Cronaca della costruzione delle gallerie consente di accostarsi a un evento di straordinaria importanza storica da un differente punto di vista, di rivivere il biennio 1705-1706 mediante le testimonianze dirette dei protagonisti e di respirare l’atmosfera delle riunioni del «Consiglio delle Fabbriche e Fortificazioni». I documenti ridanno voce ai protagonisti, coinvolti nelle trattative per l’aggiudicazione degli appalti, nei cavilli contrattuali e nei sopralluoghi in cantiere.
Desidero, in conclusione, accennare ai miei ricordi di scavo nelle contromine, quando alla fine degli anni Cinquanta (allora ero un semplice capitano dell’esercito) fui coinvolto nella progettazione del costituendo «Museo pietro Micca». Tra una molteplicità di mansioni e di compiti dovetti occuparmi anche del ricupero delle gallerie che sarebbero state aperte a pubblica visita.
Dalla primavera dell’anno 1959 sino al maggio 1961 vi furono due anni d’intenso lavoro sotterraneo. Le gallerie erano piene di terra, di fango essiccato e di macerie. In alcuni punti i mattoni delle volte erano scomparsi, asportati o, meglio, trafugati negli ultimi anni dell’800, ma lo scavo nel terreno naturale era intatto.
Per due anni i soldati del Battaglione Genio della Divisione Cremona furono impegnati nello sgombero dei due piani di gallerie del futuro Museo. I giovani genieri ripulirono circa un migliaio di metri di cunicoli, li sistemarono, raschiarono le pareti incrostate di fango, aprirono i rami laterali delle gallerie e svuotarono i pozzi di scarico. Inoltre restaurarono le rotture delle volte e delle muraglie. Molte centinaia di metri cubi di terra e fango e macerie furono estratti da un pozzo di servizio, per un totale di 45 autocarri ribaltabili.
Il terriccio fu trasportato con le carriole alla base del pozzo compiendo un faticoso tragitto.
Le contromine larghe circa un metro furono una continua sofferenza per i nostri soldati che spingevano le carriole: il dorso delle mani degli uomini fu continuamente ferito per gli accidentali sfregamenti contro le pareti. Si dovettero bendare le mani dei soldati per proteggerle.
Poiché non si potevano riaprire pozzi di aerazione, da secoli distrutti o otturati, la mancanza del ricambio d’aria creò un forte disagio.
Bene o male si lavorò molto, consapevoli che gli ambienti sotterranei sono agibili con difficoltà.
I soldati del Genio rivissero 46 anni fa la dura situazione degli antichi scavatori, operando sempre con efficienza ed entusiasmo, consci che quell’attività sotterranea fosse il loro preciso dovere.
Così l’Esercito Italiano offrì alla Città e ai suoi Amministratori una splendida prova d’impegno per il ripristino delle celebri strutture militari della Cittadella di Torino.
17 aprile 2006
Gen. B. (C. A.) Guido Amoretti
Direttore del «Museo Pietro Micca»
Paolo Bevilacqua, studioso dei sistemi di fortificazione sotterranea, è il principale artefice della ricerca documentaria che ha reso possibile la restituzione delle vicende costruttive del sistema di contromina della piazzaforte di Torino.
Fabrizio Zannoni, archeologo, dal 1995 collabora con la Direzione del Museo Pietro Micca nelle attività di ricupero e tutela del patrimonio storico sotterraneo della scomparsa Cittadella di Torino.
Entrambi fanno parte dell’«Associazione Amici del Museo Pietro Micca e dell’Assedio di Torino del 1706».
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